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Il fallimento della sterilizzazione tubarica, contestualmente alla gravidanza indesiderata che ne è conseguente, è una causa relativamente frequente di richiesta di risarcimento da danno medico, nell’ambito del quale mi trovo a lavorare in qualità di medico legale specializzato in ostetricia e ginecologia forense.

In particolare in questo articolo mi riferisco all’ultimo caso che ho trattato in sede di richiesta di risarcimento danni per una nascita indesiderata che è stata comunque portata a termine.

Per analizzare un caso come questo in affiancamento al legale che se ne occupa è opportuno prima di tutto partire dalle diverse tecniche di sterilizzazione tubarica chirurgica: secondo il Manuale di Ginecologia e Ostetricia (Pescetto, De Cecco, Ragni, Pecorari, Società Editrice Universo 2009) pressoché tutte le tecniche in adozione intervengono sulle salpingi, asportandole totalmente o in parte, oppure con legature e occludendole.

La salpingectomia, in particolare con la prima tecnica di Pomeroy, consiste nell’isolare le salpingi a livello dell’istmo a 2-3 cm dall’ostio uterino, sollevandolo in alto. Occorre che tutta la tuba sia compresa nella pinza e che quasi tutto il mesosalpinge sia invece escluso. Per asportare il tratto di tuba distrutto si pratica l’emostasi elettrocoagulativa, in modo da evitare il sanguinamento.

Le procedure d’occlusione per la sterilizzazione avvengono invece con l’applicazione di un anello di silastic, oppure di clips metalliche a molla, o ancora di clips al titanio rivestite di gomma o clips di Filshie. Queste tecniche hanno il vantaggio di essere reversibili con percentuali di successo che raggiungono anche il 60-70%, poiché non prevedono distruzione o exeresi di un tratto di salpinge e si prestano al successivo ripristino della pervietà tubarica, quindi della fertilità, attraverso un intervento di microchirurgia.

In casi specifici come durante il taglio cesareo viene adottata anche la sterilizzazione per via laparotomica, con il più tradizionale dei metodi che è quello di Pomeroy. Per aumentarne la sicurezza si ricorre a determinate procedure che consistono nell’infossare i monconi della salpinge nel legamento largo (tecnica di Irving); infine nell’immettere il moncone prossimale dentro la parete posteriore dell’utero praticando un piccolo tunnel attraverso il miometrio (tecnica di Uchida).

Come alternativa non chirurgica di sterilizzazione può essere praticata anche la tecnica Essure, che consiste nell’inserire con procedura isteroscopica una microspirale progettata per potersi espandere nella tuba, in modo da occluderla definitivamente. Il posizionamento ottimale si ottiene quando dall’ostio tubarico sono visibili i 3-5 mm terminali del microdispositivo.

Tutte le tecniche di sterilizzazione tubarica sono ampiamente utilizzate e notevolmente efficaci quando si seguono le corrette procedure, tanto è vero che all’estero la sterilizzazione femminile volontaria è diventato il metodo contraccettivo più utilizzato (negli USA il più diffuso dopo i 35 anni – Peterson, 2008) mentre in Europa già il 23% delle donne tedesche lo ha adottato.

Tuttavia è possibile che si verifichi una gravidanza intrauterina o extrauterina anche in seguito a una sterilizzazione correttamente eseguita. La formazione di fistole tubo-peritoneali ad esempio è ad oggi considerata una causa importante nel fallimento della sterilizzazione femminile.

La percentuale di fallimento con il metodo di Pomeroy oscilla tra l’uno e il 4 su mille, mentre con quello di Irving o di Uchida è ancora inferiore. L’incidenza di gravidanze indesiderate è comunque variabile in base alla metodica scelta: i dati ci dicono che la recisione delle tube con ablazione di un piccolo tratto istmico espone a un rischio di gravidanza non superiore a 0,2-0,3%, mentre le tecniche occlusive con le clips metalliche o gli anelli di silastic presentano una percentuale di fallimento che dell’ 1-3% secondo i dati di centri con molta esperienza (Speroff, Glass, Kase, 1999) da affiancare al circa 1-2,5% di altre statistiche (Peterson et Al. 1996; ACOG Commitee opinion n. 205, 1998), che ci parlano di cause di insuccesso da ascriversi al fatto che le salpingi si possono ricanalizzare spontaneamente.

In sostanza, alla luce delle conoscenze scientifiche ad oggi disponibili sull’argomento e della letteratura medica, nelle mie perizie mediche in tribunale devo valutare il corretto operato dei sanitari e la corretta informazione della paziente e considerare se l’insuccesso rientra nelle complicanze della letteratura oppure deriva da un errore medico. Tuttavia, nel caso giuridico che vi porto in esame, la gestante aveva avuto 3 figli con gravidanze a rischio e alla quarta gravidanza aveva chiesto un metodo contraccettivo definito.

Le veniva proposta la sterilizzazione tubarica, ma nel corso della vicenda clinica ho evidenziato due importanti criticità concernenti:

  1. l’acquisizione del consenso informato
  2. la descrizione della tecnica utilizzata per la sterilizzazione e la successiva “verifica” istologica.

Il consenso informato alla sterilizzazione tubarica è stato acquisito in urgenza in occasione del taglio cesareo eseguito presso l’ospedale che l’ha effettuato; giova ricordare che tale modello non conteneva le informazioni utili al fine di informare la paziente, e per di più la rapida firma prima di un taglio cesareo di urgenza non pare giustificativa di una esauriente informazione. Ulteriore incorrettezza formale risulta dall’aver richiesto il consenso all’esecuzione della sterilizzazione al marito della paziente, mentre l’unico soggetto in grado di prestare il consenso era costituito dalla paziente stessa.

La seconda criticità riguarda la tecnica d’esecuzione della sterilizzazione tubarica: in cartella clinica nella descrizione dell’intervento è riportata la generica dicitura “legatura delle tube” senza alcuna descrizione della metodica utilizzata, che evidentemente non ha previsto l’asportazione completa o parziale delle tube, di prassi più comune, né ha utilizzato l’applicazione del metodo di occlusione. L’ulteriore dimostrazione del fatto che la sterilizzazione sia fallita per un’inadeguata applicazione della tecnica chirurgica, trova elementi di supporto sia nella verifica clinica-chirurgica della integrità anatomica delle salpingi asportate durante l’intervento di taglio cesareo, sia nell’assoluta assenza di alterazioni microscopiche a carico delle tube, come evidenziato nell’esame istologico eseguito sulle stesse.

La mia perizia medica per il danno da nascita indesiderata, sulla base di questi dati oggettivi, ha attestato che risulta impossibile dimostrare la correttezza dell’operato di sterilizzazione e che pertanto la gravidanza indesiderata è da attribuirsi ad un errore nella tecnica di sterilizzazione, non rientrando nella minima percentuale di fallimento della procedura stessa, qualora correttamente eseguita.