Il fibrinogeno o fattore I della coagulazione, monitorato costantemente durante la gravidanza, è coinvolto appunto nella coagulazione del sangue, durante la quale costituisce una proteina filamentosa, la fibrina, attivata dalla protrombina nella formazione del coagulo.
Si tratta di una globulina plasmatica prodotta dal fegato o dal tessuto endoteliale, che viene messa in circolo in caso di necessità, ossia in particolari situazioni come la gestazione o in presenza di patologie; i valori nella norma sono di 150 – 450 mg/dl mentre sono superiori ai 400 nella donna che aspetta un bambino. Al di fuori della gravidanza un valore elevato può essere sintomo di un’infiammazione, un’infezione, di una malattia ereditaria o di un danno a livello dei tessuti, mentre in casi estremi può favorire il rischio cardiovascolare, di infarto, trombosi o ictus cerebrale.
L’aumento del fibrinogeno è quindi riscontrabile in modo fisiologico nelle donne in gravidanza, nelle quali si manifesta una condizione di ipercoagulabilità, quando con il passare dei mesi si alzano le concentrazioni plasmatiche anche di altri fattori procoagulanti (FVII, FVIII, FIX, FX, FXII, antigene del fattore di von Willebrand) e si riducono gradualmente le concentrazioni di alcuni inibitori naturali, in modo da preservare semplicemente la madre e il feto da possibili emorragie, soprattutto in occasione del parto. Livelli alti in questo caso non indicano una particolare patologia, a meno che non si assommino ad altre alterazioni come l’aumento delle piastrine.
I livelli di fattore I sono anche un importante strumento di valutazione e monitoraggio dello stato di salute della placenta, e non dovrebbero superare i 700 mg/dl: oltrepassata questa soglia vengono prescritte le analisi per l’antitrombina III e il d-dimero, mentre altri esami collegati per avere un più dettagliato quadro della situazione possono essere: PT (Tempo di Protrombina), proteina C e S, LAC, Guanosina deossidata (8-OHdG), MTHFR, INR, Fattore V di Leiden, Omega 3, trigliceridi, colesterolo HDL, colesterolo LDL, anti Beta-2-Glicoproteina, omocisteina, Oxi Test.
Il dosaggio del fibrinogeno nel sangue ne rileva la quantità circolante (test quantitativo), mentre si effettua anche un test in grado di valutarne l’efficacia e le tempistiche al momento della coagulazione (test di attività del fibrinogeno) quando viene trasformato in fibrina.
L’adozione di stili di vita appropriati, ossia niente fumo, niente sovrappeso, una moderata attività fisica aerobica, affiancata all’introduzione in dieta di alimenti ricchi di acidi grassi omega-3 e omega-6 (presenti nel pesce azzurro, nella frutta secca e nei semi oleosi), possono aiutare a contenere l’aumento dei livelli di fibrinogeno.
Al contrario valori di fibrinogeno basso (Ipofibrinogenemia) nella gravidanza possono associarsi al rischio di complicanze emorragiche soprattutto in sede di anestesia epidurale e parto cesareo, e potrebbero essere rilevati in presenza di problemi al fegato, patologie ereditarie, embolia del liquido amniotico, eclampsia, anemia, aborto e distacco prematuro della placenta, oppure venire originati dall’utilizzo di farmaci, come l’eparina.