endometriosi-per-tumore-medicina-forense

Ho appena trattato un caso interessante di ginecologia forense, in cui una patologia benigna e molto diffusa – l’endometriosi – era stata scambiata per un tumore, dopo una serie di indizi tutti nella medesima direzione, e senza che in questo venissero riscontrati errori.

Una signora di circa 40 anni precedentemente sempre in ottime condizioni di salute aveva lamentato diversi disturbi intestinali, tra i quali presenza di sangue vivo e muco nelle feci, accompagnati da dimagrimento significativo. La colonscopia eseguita aveva evidenziato un sospetto polipo dell’intestino e un restringimento dell’intestino stesso, indizio di un cancro intestinale.

Anche il referto della TAC addome aveva rilevato nel retto un “ispessimento parietale a carattere stenosante con iperemia del grasso periviscerale” mentre la risposta istologica del materiale asportato per la biopsia dimostrava “tessuto necrotico e alterazione delle cellule di basso grado della mucosa contigua”.

Sulla base di queste risultanze era stato quindi eseguito l’intervento chirurgico d’asportazione di quella sezione del colon ritenuta affetta da cancro stenosante; contestualmente era stato fatto il prelievo del liquido del peritoneo, la cui analisi aveva evidenziato la presenza di cellule infiammatorie ed endometriosiche. 

All’esame istologico eseguito sul pezzo operatorio era risultato infine che la lesione vista alla colonscopia era una pregressa endometriosi e non un cancro.

Considerazioni medico legali

In questo caso è stato valutato il percorso diagnostico e chirurgico eseguito dai sanitari che hanno avuto in cura la paziente con un ragionamento ex-ante, per valutare successivamente quale sarebbe stato l’iter chirurgico in assenza di eventuali errori e quindi il danno medico conseguente.

Se è evidente che l’intervento è stato fatto con una diagnosi di sospetto di tumore del sigma, mentre ci si trovava in presenza di endometriosi, viceversa non è automatico dedurre che vi sia stato un errore a livello del ragionamento clinico.

La sintomatologia clinica lamentata dalla signora era fortemente suggestiva per una patologia colica stenosante, confermata anche dalla TAC: c’era ematochezia, e suddetta patologia provoca emorragia. In più alla colonscopia si evidenziava una neoformazione vegetante, sanguinante e fibrosa che veniva biopsiata. La diagnosi di sospetto doveva obbligatoriamente e prudenzialmente orientare verso una patologia neoplastica: la sintomatologia, la presenza della calprotectina, la TAC, l’endoscopia erano tutte evidenze suggestive di una patologia neoplastica del colon.

L’esame istologico in realtà con la sua definizione di materiale necrotico e tessuto di granulazione con iperplasia e displasia di basso grado non era in contrasto con una potenziale neoplasia presente a livello colico, in quanto spesso nelle vicinanze di una neoplasia si rilevano all’esame istologico aspetti quali quelli sopra riportati. In altri termini sarebbe stato un errore diagnostico escludere la presenza di una neoplasia del colon se alla luce di tutti i fattori precedentemente evidenziati, ci si fosse basati soltanto sull’esame istologico che non aveva rilevato una franca neoplasia.

Vi è di più: nella storia clinica della paziente non vi sono riferimenti a storia di endometriosi.

Entrando invece nel merito del comportamento dei sanitari nel corso dell’intervento chirurgico, durante il quale hanno evidenziato dei noduli a livello peritoneale e continuato nel loro sospetto giustificato di neoplasia colica: con l’intento di escludere una ripetizione neoplastica a livello del peritoneo, essi hanno eseguito correttamente un prelievo dei noduli peritoneali per inviarlo all’esame estemporaneo, il quale ha escluso la presenza di tessuto peritoneale patologico in senso neoplastico, confermando invece aree di endometriosi e flogosi. Per tale motivo non hanno asportato l’utero e si sono concentrati sulla lesione colica.

Viene da chiedersi se è corretto a fronte di questo risultato, cioè della negatività a livello del peritoneo, procedere comunque all’asportazione della parte della neoformazione colica.

La risposta è affermativa, in quanto l’unico modo che i sanitari avevano per diagnosticare una neoplasia colica era l’asportazione del pezzo operatorio; la negatività del peritoneo in senso neoplastico e la presenza di endometriosi pelvica, non escludevano la presenza di un tumore colico concordemente con le risultanze degli esami fin a quel momento eseguiti, cioè della colonscopia, della TAC e anche della risposta istologica della colostomia.

L’esame istologico definitivo escludeva la presenza di una patologia neoplastica e confermava che la causa della patologia stenosante era di endometriosi stenosante a livello colico.

La presenza di un’endometriosi stenosante a livello colico in assenza di grandi cisti endometriosiche o di una patologia endometriosica conclamata è alquanto rara ma non impossibile, tanto che è ben noto che la patologia endometriosica è estremamente bizzarra e talvolta può avere un andamento simil neoplastico con addirittura stenosi di ureteri e danneggiamenti renali.

Da una parte quindi la difficoltà diagnostica da parte dei sanitari in possesso di elementi che orientavano più verso una patologia neoplastica che non endometriosica, dall’altra parte la lesione stenosante di origine endometriosica con l’indicazione, comunque, di un intervento analogo a quello eseguito.

Risulta verosimile che se anche fosse stato possibile eseguire la diagnosi di endometriosi sin dall’inizio, e non vi sono elementi per affermare ciò, la resezione sarebbe stata di dimensioni inferiori rispetto alla resezione completa per sospetta neoplasia, ma è assolutamente complicato capire quale sarebbe stata la sintomatologia residua della paziente, probabilmente sovrapponibile a quella attuale.

In estrema sintesi: non risulta assolutamente agevole dimostrare un errore medico per i motivi sopra esposti e per il fatto che, con un ragionamento ex ante, i sanitari dovevano escludere una patologia neoplastica ancora prima di pensare ad una forma endometriosica di cui non avevano alcun riferimento.

Estremamente difficile valutare il nesso causale e il danno, dal momento che se anche avessero diagnosticato da subito in luogo del tumore una patologia endometriosica con carattere stenosante, sarebbe comunque stato necessario un intervento chirurgico, analogo a quello eseguito, probabilmente con un’asportazione di una porzione di intestino leggermente inferiore a quella che è stata effettivamente asportata.