In qualità di ginecologa e medico forense vengo interpellata anche sui processi per violenza sessuale da chi mi conosce come consulente, a Milano come a Firenze.
Per questo particolare e gravissimo reato (che la legge n 66/1996 ha ascritto doverosamente tra i delitti contro la persona, elevandolo da quelli contro la morale pubblica, l’onore e la famiglia), il lavoro del ginecologo forense in dibattimento è solo l’ultimo tassello di una serie di accurate indagini, refertazioni e raccolta di indizi e prove che – assieme a una adeguata assistenza medica e psicologica – solamente una squadra multidisciplinare e appositamente preparata di specialisti può portare a termine per l’accertamento della verità.
L’esperienza infatti ci insegna che le carenze e gli errori nella raccolta e conservazione dei referti, così come la mancanza di coordinamento tra le forze di polizia, gli psicologi e gli operatori sanitari, portano ancora troppo spesso all’invalidazione delle indagini strumentali necessarie a delineare con completezza lo svolgersi dei fatti.
Con il termine giuridico di “violenza sessuale” o stupro vengono ad oggi designati sia gli atti di violenza carnale (congiunzione carnale non consensuale) che prevedono anche pene dai 6 fino ai 14 anni di reclusione in presenza di aggravanti (di cui agli artt. 609 bis ter e ss c.p.), sia gli atti di libidine violenta, che sono di norma soggetti a pene ridotte di un terzo. Tra le circostanze aggravanti ricordiamo la violenza su minorenni, la violenza di gruppo, il tipo di relazione intercorrente tra soggetto agente e persona offesa, la limitazione della libertà personale della vittima e della sua integrità fisica o psichica, oltre che della capacità di intendere e di volere con uso di armi, alcool o droghe.
La violenza carnale definisce una situazione di minacce e coercizione nei confronti della vittima non consenziente, che è obbligata a subire penetrazione orale, anale o vaginale; da notare che qualora si tratti di un minorenne, si parla di stupro anche se la vittima è consenziente.
Gli atti di libidine violenta riguardano invece altri tipi di coercizione sessuale, con toccamenti, azioni di seduzione, baci o anche l’imposizione della vista dei genitali dell’aggressore: sono eventi più difficili da provare e possono venire sminuiti o sottovalutati anche dalle persone più vicine alla vittima. Del resto lo studio dei casi purtroppo conferma quanto rilevato dalle statistiche: lo stupro per molti aspetti risulta essere ancora oggi un evento sommerso e poco denunciato.
Il reato di violenza sessuale di norma non è perseguibile d’ufficio (se non in particolari circostanze), ma su querela della persona offesa, entro sei mesi dall’evento, e la querela una volta presentata è irrevocabile.
Di conseguenza l’accertamento da parte del medico legale deve tenere conto dei due aspetti che determinano il grado di punibilità del reato, ovvero del danno fisico immediato e nel lungo periodo (come la trasmissione di malattie sessualmente trasmissibili) come delle eventuali ripercussioni psicopatologiche del danno morale.
Durante il dibattimento di norma il magistrato pone al medico forense quesiti su:
- età della vittima e dell’aggressore
- origine, entità e cronologia degli eventuali segni di violenza riscontrati sul corpo della vittima
- presenza di una condizione d’inferiorità fisica o psichica della vittima e di abuso nei suoi confronti al momento del fatto
- eventuale uso di sostanze alcoliche o droghe, tale da alterare la lucidità e vigilanza del soggetto aggredito, ambito in cui è necessario l’intervento del tossicologo forense
- eventuali patologie a trasmissione sessuale presenti sia nella vittima che nell’assalitore
- verifica del grado di coscienza e della capacità di giudizio della vittima al momento della visita medica
- coerenza tra i dati riscontrati all’esame della parte lesa e lo svolgersi dei fatti descritti negli atti processuali.
A seguito di una violenza sessuale si rende dunque necessario e auspicabile l’intervento di una vera e propria task force multidisciplinare composto da medici, operatori sanitari, psicologi autorità investigative e forze dell’ordine, che dovrebbe quindi provvedere a:
- L’ispezione corporale e analisi clinica a fini diagnostici, per una valutazione medica delle lesioni (genitali ed extragenitali, quali abrasioni, ecchimosi, lacerazioni, ferite ecc come tracce di violenza e costrizione fisica); ai fini di prestare le prime cure, della prevenzione di una eventuale gravidanza e delle malattie a trasmissione sessuale (infezione da HIV, sifilide, epatite, gonorrea, infezioni da clamidia, trichomonas ecc). Con profilassi empirica di routine per le malattie a trasmissione sessuale e relazione specialistica (in caso di contagio l’autore dello stupro risponde infatti anche di lesioni personali, colpose o dolose).
- valutazione delle conseguenze psicologiche anche a lungo termine (come disturbo post-traumatico da stress) e relazione specialistica, oltre che supporto psicologico per favorirne il recupero (con visite di follow-up a programmate)
- rilievi clinico-biologici (tracce del contatto sessuale come liquido seminale, saliva, materiale biologico, analisi del DNA ecc) ed esame alla luce di Wood degli indumenti indossati al momento della violenza. Refertazione dei materiali raccolti
- consulenza medico-legale volta alla raccolta delle prove forensi
- indagini sulle modalità del reato e raccolta prove testimoniali
Infine non va tralasciato l’esame medico-legale fisico e del profilo psicologico dell’autore del reato, per completare il quadro in cui ascrivere il reato.
I diversi step della presa in carico clinica e diagnostica di una vittima della violenza sessuale hanno il duplice scopo di salvaguardarne la salute fisica e integrità psichica e di raccogliere tutti gli elementi utili in sede processuale a far sì che la pena (e quindi il risarcimento del danno) siano commisurati alla gravità del fatto.
Per assicurare un corretto supporto e la prima assistenza alle vittime di violenza sessuale nei centri antiviolenza è raccomandazione seguire le linee guida dell’Oms Responding to intimate partner violence and sexual violence against women, pubblicate nel 2013 integrando evidenze scientifiche a considerazioni più generali, come le preferenze espresse dalle donne e i loro diritti.
Particolarmente all’avanguardia in questo senso è il Codice Rosa, un progetto della Regione Toscana rivolto a uomini donne, minori, vittime di maltrattamenti e abusi sessuali che accedono alle strutture di pronto soccorso con l’assistenza di una squadra completa formata da personale socio-sanitario appositamente addestrato, ma anche magistrati, e polizia giudiziaria, tutti impegnati nell’attività di tutela delle fasce deboli della popolazione. Dal 2014 il Codice Rosa è diventato un protocollo nazionale.
Per saperne di più:
Il Codice Rosa in Toscana