La decisione di interrompere una gravidanza rappresenta un momento delicato e l’aborto volontario è un evento carico di implicazioni emotive, indipendentemente dalle motivazioni che portano a tale scelta, influenzato da una serie di fattori che riguardano le risorse emotive, sociali, familiari, economiche, individuali, di coppia e genetiche, oltre a valutazioni razionali.
IGV e ITG le tempistiche
Secondo le disposizioni della legge italiana 194 del 1978, l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) può essere richiesta entro il 90° giorno di gestazione (nei tre mesi corrispondenti a 12 settimane più sei giorni), mentre l’interruzione terapeutica (ITG) può essere richiesta entro il 180° giorno.
Per avviare la procedura, è necessario rivolgersi al consultorio di zona per ottenere un certificato di gravidanza. Successivamente, ci si rivolge all’ospedale per prenotare l’intervento.
Di solito, a meno di situazioni urgenti, l’intervento viene programmato dopo una settimana per consentire alla donna un periodo di riflessione e valutazione della sua decisione.
Aborto volontario: lo stigma sociale
L’aborto volontario, rispetto a quello spontaneo o terapeutico, è forse gravato da un maggiore stigma sociale e culturale. A differenza dell’aborto spontaneo, nella mente delle persone è correlato a una “consapevolezza di responsabilità”: un argomento complesso questo, che tocca diverse dimensioni, tra cui quelle etiche, religiose, mediche e psicologiche.
Comunemente si suppone che poiché riguarda una decisione personale, non generi sentimenti di lutto e perdita, mentre può provocare un dolore profondo, un senso di vuoto che può tornare ad affiorare anche a molta distanza di tempo.
Si tratta di un’esperienza estremamente individuale, in cui è importante evitare di giudicare se stessi e gli altri, mentre frequentemente viene vissuto come un tabù, come qualcosa da nascondere, anche solo in relazione alla propria intima esperienza.
La donna che si trova ad affrontare un aborto volontario avverte un forte senso di giudizio negli sguardi e nei silenzi degli altri, che sembrano pronunciare implacabilmente la sentenza: “Sei tu che l’hai scelto“.
Ciò può portarla a chiudersi nel silenzio, immersa nella propria angoscia, aumentando il conflitto interiore che già accompagna la sua decisione.
Il senso di perdita
È importante riconoscere che la decisione di interrompere una gravidanza non elimina il senso di perdita, ma anzi può amplificare la sofferenza a causa del peso emotivo della responsabilità associata. Spesso si vive con la sensazione di non meritare di provare dolore o di non avere il diritto di soffrire, creando un conflitto interno in cui ogni manifestazione emotiva è repressa.
Alcune persone riescono a riprendersi rapidamente, mentre altre hanno bisogno di tempo per elaborare il dolore legato alla perdita.
Ogni volta che si vive una perdita, si avverte un senso di lutto, e l’aborto volontario mette in gioco un conflitto interno tra due scelte, entrambe portatrici di perdita. Il lutto è doppio: oltre alla sofferenza per la perdita in sé, c’è anche il dolore profondo legato alla decisione di affrontare quest’ultima, permeato da sensi di colpa, senso di impotenza e solitudine.
È una perdita che non può essere negata, e pretendere di viverla in modo neutro è irrealistico. Secondo Galimberti, è comune che i ricordi di aborti passati, apparentemente superati senza difficoltà, ritornino carichi di sensi di colpa durante successivi episodi depressivi.
La Sindrome Post-Abortiva (SPA)
Una vera e propria Sindrome Post-Abortiva (SPA) può manifestarsi con una serie di sintomi subito dopo l’interruzione di gravidanza o anche dopo anni, che rimangono latenti per lungo tempo. Questa condizione è collocata tra i disturbi post-traumatici da stress, e vede l’interruzione volontaria di gravidanza come evento traumatico che può generare significativo stress e disagio emotivo.
I sintomi della SPA possono coinvolgere diverse sfere della vita e includono disturbi dell’umore come ansia e depressione, alterazioni della comunicazione e del pensiero, disturbi alimentari, problemi nelle relazioni affettive e sessuali, disturbi neurovegetativi, del sonno e ansiosi-fobici, nonché flashback intrusivi sull’aborto con senso di colpa; tutti sintomi che non erano presenti prima dell’evento traumatico e che possono essere scatenati nel tempo fino a 15 anni dopo, in occasione di particolari eventi o ricorrenze collegabili all’interruzione di gravidanza.
Il supporto psicologico all’interruzione volontaria di gravidanza
L’atto di interrompere una gravidanza è un momento emotivamente intenso che ha il potenziale di condizionare le future esperienze di maternità e genitorialità se non viene gestito, affrontato, discusso, sostenuto e accettato in modo appropriato.
Una strategia per affrontare questa situazione è fornire un sostegno clinico mirato alle persone che hanno vissuto tale esperienza e che cercano assistenza da professionisti della salute mentale.
È importante tenere in considerazione diversi fattori come il tipo di procedura abortiva, lo stadio della gravidanza, il contesto e il processo decisionale, insieme alla comprensione dei processi mentali delle persone coinvolte. Attraverso un’attenta analisi della storia personale e una preparazione accurata, è possibile comprendere e alleviare la sofferenza, rispettando i tempi e le emozioni individuali necessarie per elaborare l’esperienza.
In termini di diagnosi, gli psicologi considerano diversi criteri, tra cui la persistenza di pensieri negativi intrusivi per almeno un mese, prima di formulare un disturbo post-traumatico. Inizialmente, l’approccio preferito è il supporto psicologico basato sull’ascolto empatico, con l’eventuale utilizzo di tecniche di gestione del trauma in una fase successiva.
L’atteggiamento empatico e rispettoso verso il dolore svolge un ruolo fondamentale nel processo di elaborazione del lutto e nell’eventuale rinascita emotiva e psicologica che ne consegue.