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Chi – come me – in qualità di medico legale si occupa di ginecologia ed ostetricia forense, spesso si trova a intervenire in dibattimenti che chiamano in causa la manovra di Kristeller, una pratica clinica invasiva e controversa, utilizzata nel travaglio.

Succede infatti che durante il parto, negli ultimi momenti dell’espulsione del bambino, la mamma non riesca più a gestire le spinte, o che le contrazioni non abbiano più efficacia, o ancora che vi sia sofferenza fetale: in questi e in altri casi specifici, quando già la testa fetale si trova al piano perineale, la manovra di Kristeller ha finito per diventare un intervento quasi di routine della pratica clinica ostetrica italiana.

La manovra consiste in una serie di pressioni decise verso il basso del canale del parto (nel numero massimo di 3-4) esercitate dal ginecologo con l’avambraccio o con le mani sul fondo dell’utero della partoriente, in sincronia con le contrazioni del travaglio. In alcune sale parto al posto delle braccia viene utilizzata allo scopo una cintura ostetrica gonfiabile.

Nel 1867 Kristeller aveva presentato questa pratica all’Accademia di Berlino (Kristeller G. Berl. Klin. Woch. 1867 n.6), come una pressione più simile ad un massaggio energico, da effettuarsi con il solo palmo della mano per accompagnare l’espulsione finale del feto (feto-expressio) rafforzando le contrazioni uterine in casi come il parto podalico. La sua idea era stata ripresa più tardi da Autori inglesi, in un articolo apparso sul “The British Medical Journal” (July 20, 1872), con l’intento di imprimere da fuori una forza meccanica di spinta, in luogo della trazione finale dall’esterno per accelerare il momento ultimo della nascita.

Diciamo subito che, così come è attuata, la manovra di Kristeller oltre a essere molto invasiva è – secondo alcune evidenze scientifiche recenti – priva di indicazioni mediche valide per la sua applicazione; eppure essa viene effettuata da qualche decennio in alcuni Paesi mediterranei come l’Italia o la Grecia, mentre dalla Germania e dai Paesi a cultura anglosassone viene completamente ignorata. In Spagna e Inghilterra è addirittura vietata perché considerata a rischio di gravi, anche se non frequenti, complicanze per mamma e bambino.

Pare essere infatti potenzialmente pericolosa: seppure in rari casi, può portare a un rischio maggiore di rottura dell’utero e morte della partoriente, di danni a carico dello sfintere anale, ma anche a fratture e danni celebrali fetali. Inoltre può provocare il distacco di placenta normalmente inserta, con immissione di materiale placentare tromboplastinico e accentuazione del passaggio di eritrociti fetali nel circolo materno.

Tra gli esiti avversi più frequenti a carico della puerpera vi sono la frattura delle costole, del coccige e della sinfisi pubica; le lacerazioni profonde della vagina (perineali di terzo e quarto grado), lesioni al fegato e alla milza e le contusioni alle pareti uterine correlate a emorragie del secondamento e del post partum. Al bambino può invece causare sofferenza fetale secondaria a disturbi di irrorazione placentare, frattura della clavicola, fratture e danni cerebrali, emorragia endocranica e lesioni del plesso brachiale.

Tra le gravi controindicazioni alla manovra di Kristeller ricordiamo: la distocia di spalle, il parto gemellare, la presenza di cicatrici uterine pregresse (isterotomiche) o da precedente taglio cesareo, la placenta previa, l’incompleta dilatazione cervicale, la presenza di ostacoli alla progressione dovuta alle parti molli e infine la sproporzione feto-pelvica, quando il feto è troppo grande rispetto all’ampiezza del bacino.

Quello che viene oggi praticato in alcune strutture italiane è dunque uno degli interventi più dolorosi, invasivi e controversi del parto vaginale medicalizzato: sconsigliato dall’Oms, secondo la denuncia dell’associazione di ginecologi “Safety and life onlus” metterebbe a rischio ben il 75% delle future mamme in Italia.

Evidenze scientifiche – anche da trial cinici randomizzati – e revisioni sistematiche Cochrane non ne incoraggiano l’esecuzione, non avendone dimostrato la sicurezza e l’efficacia né nel favorire il parto spontaneo, né nel prevenire il prolungamento della fase espulsiva del travaglio o nel coadiuvare manovre ostetriche operative (con forcipe e ventosa ostetrica).

Per questo anche il Ministero e l’ISS ritengono opportuno non raccomandare la manovra di Kristeller e invitano a limitarne l’utilizzo a protocolli di studio.

Qualora, in assenza di patologie ostetriche materne e di patologie fetali, la manovra venisse comunque praticata, deve essere comunicata preventivamente alla puerpera (e ai suoi familiari) in modo che possa prendere decisioni informate; infine deve essere descritta e documentata dai sanitari nella cartella clinica della donna, cosa che – come qualche volta emerge durante le fasi d’istruttoria delle mie consulenze di ginecologia e ostetricia forense – non sempre viene diligentemente eseguita da parte dei medici dell’équipe.

Fonti cliniche bibliografiche:

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  • Steele A B, LKQCP. Mechanical pressure in inertia of the uteru. The British Medical Journal 1872, July 20
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