Nei Paesi occidentali come gli USA l’isterectomia rappresenta ancora il secondo intervento chirurgico più praticato dopo il taglio cesareo, a dispetto delle linee guida internazionali che da anni raccomandano il ricorso ai metodi alternativi (medici e radiologici) di minore invasività, sulla base di una netta revisione delle indicazioni di questa procedura chirurgica demolitiva per le patologie ginecologiche benigne.
Effettivamente l’asportazione chirurgica dell’utero ha sempre rappresentato il trattamento di scelta oltre che per i carcinomi anche per tutta una serie di patologie uterine non maligne, e tra queste l’indicazione più frequente era per la fibromatosi uterina sintomatica. Da studi epidemiologici oggi risulta esserlo per il 74,3% dei casi, mentre la maggior parte degli interventi viene praticato su donne di età compresa tra i 39 ed i 49 anni, soprattutto per via laparotomica.
Il ricorso improprio all’isterectomia
A tale proposito AOGOI (Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri Italiani) a seguito di una tavola rotonda nel 2018 pubblicò in prima pagina un eloquente comunicato circa il ricorso improprio alle isterectomie, i cui dati indicavano in meno di un caso su cinque l’asportazione dell’utero collegata alla presenza di un tumore, dal momento che in Italia ogni anno vengono effettuate circa 70 mila isterectomie, delle quali il 75% riguarda malattie benigne come metrorragie o miomi, il 7% circa prolassi, mentre meno del 18% interessa patologie oncologiche. L’intervento risulta essere più frequente nei piccoli ospedali, nei piccoli centri e al Sud. Io stessa in qualità di ginecologa forense per le mie consulenze nell’ambito della responsabilità ginecologica – ostetrica ho avuto modo di occuparmi nel tempo di diversi casi inerenti isterectomie improprie.
Più che le condizioni cliniche nella paziente contano la consapevolezza e il profilo socioeconomico
Un altro dato molto interessante, rilevato da diversi studi epidemiologici, indica che il rischio di subire l’isterectomia dipende non tanto dalle condizioni cliniche della paziente, quanto dalla sua capacità decisionale, dallo stato socioeconomico e dal grado di informazione ricevuta. Quanto precede è emerso sia da studi osservazionali, che hanno valutato l’incidenza dell’intervento in base allo stato socioeconomico, sia da studi comparativi che hanno paragonato la frequenza annuale delle isterectomie in aree geografiche nelle quali era stata fatta una campagna di informazione ad hoc, con aree nelle quali nessuna informazione era stata fornita al pubblico.
Questo aspetto è strettamente correlato con il tema del consenso e del dovere del medico di informare dettagliatamente sulle possibilità di cura, prediligendo gli interventi meno invasivi: non per niente si è visto che i presupposti delle isterectomie non aderenti alle linee guida risiedono nell’inadeguata valutazione diagnostica e nel mancato tentativo di attuare trattamenti alternativi più innovativi prima del ricorso alla via chirurgica demolitiva, privilegiando se è il caso tecniche più conservative come la chirurgia isteroscopica o la miomectomia ad ansa fredda.
Isterectomia e Linee Guida sul trattamento delle Fibromiomatosi
Con riferimento alle “Linee Guida/Raccomandazioni sulla diagnosi e trattamento delle Fibromiomatosi” redate da Aogoi, SIGO, AGUI le indicazioni all’isterectomia in presenza di patologia benigna sono le seguenti:
- fibromi sintomatici, per i quali l’isterectomia offre, con grado di evidenza I-A, una soluzione permanente nei confronti della menorragia (perdite mestruali particolarmente abbondanti o prolungate) e dei sintomi legati all’aumento di volume dell’utero;
- perdite ematiche atipiche e abbondante sanguinamento mestruale per cui, tuttavia, devono essere preventivamente considerate le alternative mediche;
- endometriosi severa, per la quale l’isterectomia è riservata a casi molto selezionati;
- prolasso genitale per il quale l’isterectomia, effettuata per via vaginale, deve essere corredata di procedure di supporto pelvico;
- malattia pelvica infiammatoria in casi selezionati.
Queste linee guida perseguono l’obiettivo di ridurre drasticamente questa procedura chirurgica a pochi casi selezionati, per evitare di esporre la donna al rischio di sovratrattamento e alle conseguenze importanti dal punto di vista fisico e psicologico che ne possono derivare.
I diversi gradi d’intervento
L’intervento a seconda dei casi può essere eseguito sia con un’incisione a cielo aperto (isterectomia addominale), in anestesia spinale, sub aracnoidea o generale, sia in laparotomia attraverso piccoli fori addominali, sia in colpoisterectomia (per via vaginale) che comporta un recupero più rapido e meno rischi.
Quando possibile si esegue un’isterectomia parziale o subtotale (con intervento conservativo della cervice uterina o di parti dell’utero stesso). Se l’utero viene asportato interamente si parla di un’ isterectomia totale. In alcuni casi l’operazione può prevedere anche l’asportazione di tube e ovaie (isterectomia totale con annessiectomia bilaterale), cosa che nella donna fertile porta inevitabilmente a menopausa precoce. In alcuni casi può essere indicata l’isterectomia radicale, che comporta purtroppo anche la rimozione della parte superiore della vagina e delle ghiandole linfatiche pelviche.
Se vogliamo prescindere dalle importanti ricadute psicologiche che la portano a vivere intimamente l’operazione come una perdita di femminilità, la donna sottoposta a isterectomia a recupero avvenuto può continuare ad avere rapporti sessuali e riprendere la vita di relazione usuale.
Per quello che riguarda tessuti e organi l’isterectomia totale presenta un rischio di complicanze maggiore rispetto alle altre modalità di intervento. Aumenta il rischio di prolasso o fistola vaginale e il rischio di danneggiare organi vicini all’utero come l’uretere o la vescica, mentre compromette ovviamente la capacità riproduttiva nella donna fertile.
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*Foto di Sasin Tipchai da Pixabay