Una complicanza rara del parto naturale tra le più note è quella della distocia di spalla, un trauma che può verificarsi alla fine del travaglio, nel momento dell’espulsione, e che può portare alla paralisi del plesso brachiale.
Si tratta di una situazione di emergenza grave, molto spesso non prevedibile, che si verifica in sala parto e che consiste nell’impossibilità del disimpegno delle spalle del nascituro, una volta fuoruscita la testa durante il parto cefalico.
I fattori predisponenti alla distocia della spalla possono essere legati all’eccessivo aumento di peso corporeo, sia della donna gravida sia del feto, quando quest’ultimo supera i 4-4,5 kg, tenendo conto che oltre il 50-60% delle distocie di spalla avviene comunque in feti non macrosomi.
Anche le anomalie morfologiche del bacino o delle pelvi materne possono costituire fattori di rischio, come del resto l’età materna avanzata e la bassa statura, il diabete gestazionale e un precedente parto complicato da distocia di spalla, e questi ultimi risultano essere i più importanti fattori predittivi per una successiva analoga complicanza.
Di fronte a danni derivanti dalla distocia di spalla è utile infatti valutare i fattori di rischio che l’hanno determinata perché ci si trova ad affrontare due ordini di problemi di tipo medico legale nelle cause di risarcimento sanitario: da un lato bisogna indagare la prevedibilità o meno dell’evento e la possibilità di prevenirlo con il ricorso al taglio cesareo, dall’altro stabilire se la distocia di spalla sia stata ben affrontata con le manovre codificate dai protocolli ormai universalmente accettati dalle sale parto.
Le linee guida italiane ad esempio consigliano di ricorrere a taglio cesareo per scopo preventivo di distocia di spalla, solo nel caso in cui il peso stimato del feto sia superiore a 4500 gr nelle non diabetiche e 4000 gr nelle diabetiche, e nel caso in cui vi sia stato un precedente parto già complicato da distocia di spalla. In assenza di queste condizioni non è indicato eseguire il taglio cesareo in via preventiva, in quanto le complicanze dello stesso sarebbero nettamente superiori al possibile vantaggio di prevenzione.
In sala parto, di fronte alla presenza dei segni indicatori della distocia della spalla è essenziale intervenire in pochissimi minuti per facilitare la fuoriuscita del bimbo ed evitare complicanze per la sua salute e per quella della mamma.
Diagnosi e protocollo della distocia di spalla
La diagnosi corretta e tempestiva viene eseguita con la valutazione dei segni caratteristici della distocia di spalla e cioè:
- la testa fetale è uscita con difficoltà (magari preceduta da un rallentamento nella progressione) e rimane strettamente appoggiata alla vulva.
- il mento si accorcia e deprime il perineo – la testa sembra che voglia entrare in vagina (segno della tartaruga).
- la trazione sulla testa blocca la fuoruscita delle spalle che rimangono intrappolate sotto la sinfisi.
In presenza di queste condizioni diventa necessario procedere secondo un protocollo standardizzato che è stato indicato nell’acronimo HELPER e prevede le seguenti tappe:
- Help: chiamare in aiuto l’ostetrico con più esperienza
- Episiotomy: fare un’ampia episiotomia per ridurre l’ostacolo tessutale e avere uno spazio per le manovre.
- Legs: flessione delle gambe
- Pressure o Push: pressione sulla sinfisi pubica (spalla anteriore) e in contemporanea a una trazione verso la parte posteriore della testa fetale in modo da disimpegnare la spalla anteriore
- Enter: introdurre la mano nella pelvi cercando la faccia anteriore della spalla posteriore in modo da ridurre il diametro delle spalle applicando una pressione sulla spalla posteriore in direzione dello sterno
- Removal estrarre il braccio posteriore dopo aver cercato con la mano in vagina l’omero e il braccio posteriore flettendolo e accostandolo
Qualora la distocia sia stata correttamente diagnosticata e le manovre siano state correttamente eseguite e riportate in cartella clinica unitamente alla corretta tempistica, è oggettivamente dimostrato che i sanitari hanno adempiuto ad un obbligo di mezzi, non potendo loro imputare un obbligo di risultati, dal momento che nonostante un corretto comportamento sanitario è comunque possibile che si manifestino complicanze (anche gravi) in madre e neonato, come emorragie, lacerazioni del perineo e rottura dell’utero nella puerpera, oppure fratture della clavicola, asfissia e danni cerebrali, oltre a vari gradi di lesione del plesso brachiale.
La paralisi neonatale del plesso brachiale
La paralisi neonatale del plesso brachiale, una forma di paralisi dei muscoli che riguardano l’arto superiore spesso accompagnata da frattura della clavicola, è infatti la principale conseguenza della distocia di spalla, anche se tutti gli studi eseguiti per valutare la causa e la relazione tra i due eventi giungono alla conclusione che tale lesione non è così stretta e immediata, essendo associata a un trauma da parto nel 50-60% circa dei casi (imputabile in alcuni casi all’iperabduzione del collo in corso di estrazione fetale) mentre per i restanti casi si tratta di danni nervosi che si sono stabiliti in utero, durante la gravidanza, legati a malposizioni fetali, anomalie uterine o cause genetiche, ed è un’evenienza che si può presentare sia in corso di parti vaginali (senza alcuna manovra ostetrica), sia in corso di tagli cesarei.
Oltre alla macrosomia e alla distocia di spalla vi sono altre condizioni associate al verificarsi della paralisi in relazione al trauma da parto, come:
- le presentazioni fetali anomale (quelle diverse dal vertice in OISA: occipito-sinistra anteriore, che è la presentazione più comune e quella mediante la quale il passaggio attraverso il canale del parto è più agevole)
- la depressione fetale con un’alterazione del tracciato cardiotocografico che possa far sospettare una riduzione di apporto di ossigeno al feto
- nel travaglio la fase espulsiva prolungata: per le nullipare (chi non ha mai partorito) la tempistica del travaglio è dalle 8 alle 12 ore mentre una volta raggiunta la dilatazione completa, il periodo espulsivo non dovrebbe durare oltre 3 ore; nelle pluripare invece (donne che hanno già partorito) il travaglio dura in media 4-6 ore e il periodo espulsivo non dovrebbe superare le 2 ore.
Fonti:
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