Nei momenti che precedono la nascita, quando il travaglio è ben avviato su contrazioni valide e regolari, è possibile (o dovrebbe essere possibile) scegliere di ricorrere o meno all’anestesia epidurale per il parto, un metodo sicuro ed efficace per combattere il dolore negli stadi del travaglio fisiologico, e compatibile con l’allattamento.
Da anni questa procedura è al centro di un vivace dibattito tra pro e contro, tra ostetriche e ginecologi, tra estimatori dell’ausilio farmacologico e fautori di un parto con una gestione del dolore più naturale, nel quale anteporre alla partoanalgesia farmacologica la riduzione delle tante pratiche di routine che aumentano il disagio della donna, limitando allo stretto necessario in particolare quelle collegate all’aumento del dolore e potenziando il sostegno emotivo e l’accompagnamento.
Tralascio polemiche inutili ed estremi fanatismi per spiegare di cosa si tratta e qual è il rapporto costi-benefici, partendo dal fatto che la disponibilità nei punti nascita dell’analgesia farmacologica come strumento di controllo del dolore è un diritto delle donne che ancora spesso viene disatteso.
Cos’è l’anestesia epidurale nel parto
L’anestesia epidurale o peridurale è l’inoculazione di farmaci a basso dosaggio (anestetici locali e/o oppiacei) nello spazio “epidurale” più esterno di una delle meningi (dura madre) della colonna vertebrale della partoriente, tale da bloccare momentaneamente e selettivamente le fibre nervose incaricate di renderla sensibile al dolore, mentre vengono conservate la sensibilità tattile e l’attività motoria per permetterle di avvertire le contrazioni uterine, potersi muovere e spingere durante il parto. Nella zona lombare in anestesia locale viene inserito un piccolo tubicino a livello dello spazio epidurale, attraverso il quale vengono somministrati i farmaci necessari.
Nell’anestesia spinale utilizzata per gli interventi chirurgici come il taglio cesareo i farmaci invece vengono indirizzati nello spazio più interno “subaracnoideo”, determinando un momentaneo arresto di tutte le funzionalità nervose e motorie.
La visita dell’anestesista
I dettagli tecnici dell’anestesia epidurale sono di competenza degli anestesisti, che visitano le partorienti generalmente dalla 35ma alla 37ma settimana, al fine di stabilirne l’idoneità, sulla base dell’analisi della documentazione sanitaria e degli esami di laboratorio con il conteggio delle piastrine e gli indici di coagulazione (PT e aPTT).
Uno degli elementi da tenere in considerazione è quello del rischio ostetrico: se il parto può essere di per sé a basso o ad alto rischio, con l’epidurale si possono allungare i tempi del travaglio e viene a delinearsi una diversa classificazione del rischio, che diventa alto, prevedendo adeguati protocolli di sorveglianza dei parametri vitali materni e fetali. Trials recenti evidenziano come l’epidurale possa essere associata a eventi come parto cesareo o strumentale e a posizioni anomale della testa del feto, mentre non pare accrescere il rischio di lacerazioni perineali severe.
Analgesia epidurale: controindicazioni e complicanze
Tra le controindicazioni, da discutere caso per caso con l’anestesista durante la visita:
- alterazioni della coagulazione con predisposizione al sanguinamento (incluse terapie con farmaci anticoagulanti)
- febbre elevata o condizioni infettive sistemiche (sepsi)
- documentate allergie agli anestetici locali o agli oppiacei
- alcune patologie neurologiche
- difficoltà di esecuzione (es. grande obesità, grave scoliosi)
Complicanze:
Lombalgia, dolore o sensibilità alterata nella sede di puntura o agli arti inferiori, come effetti transitori
Cefalea per puntura accidentale della dura madre (circa 10 casi su 1000), aggravata dalla posizione eretta, che tende a scomparire in quella sdraiata. Si risolve in breve tempo con cure adeguate, ma può raramente prolungarsi e richiedere cure più specifiche.
Le complicanze più gravi come meningite, ematoma epidurale, trombosi cerebrale, danni neurologici permanenti sono estremamente rare (circa 1 caso ogni 200.000 epidurali).
Analgesia non farmacologica
La dimensione e l’intensità del dolore sono soggettive, multiple, influenzate da diversi fattori biologici, psicologici, ambientali, socio-culturali.
In alternativa alla partoanalgesia epidurale vi sono tecniche e metodiche di analgesia non farmacologica, basate su interventi finalizzati a contenere il dolore in travaglio e utilizzabili singolarmente, simultaneamente o in successione:
- Supporto emotivo strutturato – in presenza o in assenza di un familiare o un compagno
- della donna, è un rapporto empatico di fiducia tra la partoriente e l’ostetrica che la segue nel travaglio, attenta alla percezione dei suoi bisogni e aspettative. Va oltre la sala parto e implica una continuità assistenziale basata su protocolli condivisi di assistenza prenatale, corsi di accompagnamento alla nascita, assistenza al parto e poi al puerperio.
- Movimento e posizioni – utilizzo libero delle posizioni verticali (eretta, seduta, accovacciata) o laterale, carponi, invece che supina, durante il 1° e 2° stadio del travaglio
- Massaggi – alla schiena, testa, mani, piedi da parte del partner per 20 minuti ogni 5 ore
- come insegnato, e per 30 minuti durante le contrazioni uterine
- Agopuntura – riduce il ricorso al trattamento farmacologico e alla anestesia epidurale
- Immersione in acqua riscaldata – in apposite vasche o piscine a un max di 37,5°C, per il primo stadio del travaglio. L’immersione può rallentare il travaglio
- Iniezione di acqua sterile sottocutanea o intradermica – l’iniezione intradermica è però dolorosa
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