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In uno degli ultimi casi di ginecologia forense che ho affrontato sono stata incaricata di una perizia medica per una causa di risarcimento inerente la vicenda clinica di una donna, la cui gravidanza nelle ultime settimane era stata interessata dalla presenza di una placenta velamentosa, con esito purtroppo infausto e perdita del bambino che portava in grembo.

La mia consulenza di medico forense è stata richiesta per valutare la condotta dei sanitari del Pronto Soccorso che hanno preso in carico la cura della signora che vi si era recata per perdite di sangue sopravvenute in gravidanza a termine, con l’obiettivo di stabilire l’eventuale nesso di causa con l’esito di decesso fetale.

Cos’è la placenta velamentosa

L’inserzione velamentosa consiste nella presenza di vasi ombelicali che divergono prima di raggiungere la placenta e appaiono circondati soltanto da membrane amniocoriali; questa condizione rende i vasi placentari molto meno protetti da compressione o situazioni di stress meccanico rispetto ai vasi che si inseriscono direttamente nella placenta, i quali di norma sono invece circondati e protetti dalla gelatina di Wharton (una sostanza che fa un po’ da cuscinetto, riducendo le pressioni sui vasi e quindi il rischio che i vasi del funicolo vengano compressi da contrazioni o dai movimenti del feto stesso).

L’inserzione velamentosa del funicolo si può verificare ad esempio quando la placenta inizialmente si inserisce in fase bassa dell’utero e poi risale verso l’alto: questa evenienza potrebbe proprio essere quella del caso citato, in quanto inizialmente nei referti la placenta era stata definita bassa. Ad ogni modo non è mai stata diagnosticata una placenta previa, tanto più che la misurazione della distanza dall’orifizio uterino interno ha sempre escluso ogni previetà della placenta stessa.

I fatti per il contenzioso medico legale

La paziente in gravidanza a termine si presenta al Pronto Soccorso lamentando perdite ematiche: viene visitata e le vengono diagnosticati prodromi di travaglio, con cardiotocografia effettuata e valori nella norma. Viene dunque rimandata a casa, non essendo presenti perdite atipiche al momento della visita. Dopo poche ore si ripresenta riferendo perdite aumentate con presenza di liquido amniotico: viene ricoverata con la diagnosi di “distacco intempestivo di placenta” e viene fatto nascere il feto, privo di vita, tramite cesareo. Dal referto autoptico sulla placenta emerge una placenta con inserzione velamentosa, membrane con punto di rottura imprecisabile e iperspiralizzazione in brevità del cordone.

Considerazioni specialistiche medico legali

Purtroppo una serie di condizioni temporali e coincidenze infauste in quel caso hanno determinato la presenza di perdite ematiche – coesistenti con altri sintomi normalmente associabili a un inizio di travaglio – che erano invece secondarie a un problema di placenta, non diagnosticabile né durante le fasi precedenti della gravidanza né al momento della visita in Pronto Soccorso.

La valutazione del presente caso da parte mia ha riguardato dunque due aspetti; da una parte andava indagata la congruità di comportamento dei sanitari che hanno visitato la paziente nel corso del primo accesso al Pronto Soccorso; dall’altra venivano analizzate le cause del decesso del feto in base ai riscontri anatomopatologici, tenendo quindi ben presente che tali riscontri non potevano essere noti ai sanitari al momento della visita alla paziente in gravidanza.

Per quel che riguarda il primo punto, la documentazione clinica relativa all’accesso al Pronto Soccorso è risultata congrua ed esente da grossolani errori. Infatti, al momento del primo accesso la visita aveva evidenziato un collo dell’utero decisamente raccorciato compatibile con le perdite ematiche che solitamente si verificano all’inizio del travaglio e all’inizio delle modificazioni del collo dell’utero stesso.

Inoltre il tracciato cardiotocografico – risultato regolare sia per linee di base che per variabilità che per presenza di accelerazioni – è stato sicuramente l’elemento di maggiore esclusione della responsabilità medica dei sanitari nella mancata diagnosi e nella mancata previsione di quanto successivamente accaduto.

Riguardo al secondo punto invece, dall’esame istologico della placenta e dal referto autoptico sono emerse anomalie a carico della placenta e del cordone in nesso di causa con l’esito infausto. È stata infatti rilevata la presenza dell’inserzione velamentosa della placenta, nonché di iperspiralizzazione e brevità assoluta del funicolo. L’assenza della necessità di diagnosticare l’inserzione velamentosa del funicolo da parte delle linee guida internazionali e nazionali fa sì che non si possa attribuire ai sanitari una responsabilità per mancata diagnosi della stessa.

Per quanto riguarda la brevità del funicolo, questa non era diagnosticabile in corso di gravidanza. La brevità assoluta del funicolo è una condizione molto a rischio per il feto, il quale, scendendo nel canale del parto, può causare uno stiramento del funicolo stesso, con conseguente rischio di morte fetale e di distacco di placenta proprio per il meccanismo di trazione che si viene a creare.

In conclusione, i difetti presenti a livello di placenta velamentosa e funicolo erano stati tali da aver causato la morte del feto, ma non erano e non potevano essere noti ai sanitari né in corso di gravidanza né al momento del primo accesso al Pronto Soccorso, mentre la morte del feto è avvenuta dopo e in un modo rapido e del tutto imprevedibile.

Per tali ragioni nel rilevare l’assenza di chiare responsabilità dei sanitari ho ritenuto inopportuno proseguire la strada del contenzioso medico legale.

 

 

 

Foto di Peter Schmidt da pixabay.com