Nel Decalogo della nutrizione e della sicurezza alimentare in gravidanza dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) su raccomandazioni della European Food Safety Authority la prevenzione delle infezioni alimentari è uno dei punti nodali per fare prevenzione primaria dei difetti congeniti in gravidanza e abbattere il rischio degli esiti avversi sullo sviluppo del feto, derivanti dall’esposizione a fattori nutrizionali e ambientali.
Il Decalogo per tutelare la salute in gravidanza consiglia i seguenti comportamenti alimentari verificati, ovvero:
- Controlla peso e glicemia
- Adotta una dieta ricca di folati e integratori con acido folico, nei modi e nei tempi giusti, contro alcune malformazioni del sistema nervoso
- La vitamina B12 è indispensabile per utilizzare al meglio acido folico e folati
- Lo iodio è indispensabile per la crescita del bambino e per lo sviluppo del cervello
- Adotta supplementi, integratori, alimenti salutistici, solo su indicazione medica e in presenza di carenze specifiche
- Previeni la toxoplasmosi e la listeriosi
- Evita vino e alcolici in gravidanza
- Consuma il pesce in modo intelligente (raccomandazioni EFSA) ovvero cercando di selezionare prodotti ittici piccoli, presumibilmente con minore contenuto di metalli pesanti e diossina rispetto alle specie più grandi come il pesce spada o il tonno
- Attenzione in cucina: occhio a cottura, conservazione e igiene dei contenitori
- Riduci il consumo di bevande contenenti caffeina
La contaminazione dei cibi prima di arrivare alla nostra cucina può avvenire per vie diverse: alcuni agenti patogeni presenti nell’intestino di animali sani si diffondono agli altri tessuti durante la macellazione, dopodiché la loro carne se viene portata in tavola cruda o poco cotta può essere fonte di contagio. Frutta e verdura possono essere contaminate dopo essere state irrigate con acqua infetta, oppure se entrate in contatto con letame o feci di animali malati.
Al di là delle diverse tossifenzioni alimentari causate dall’ingestione di cibi contaminati da sostanze tossiche o da microrganismi patogeni, oggi ci focalizziamo sulle due patologie più problematiche in gravidanza per mamma e bambino: toxoplasmosi e listeriosi.
Toxoplasmosi
Molto diffusa anche nell’uomo (interessa ben il 60-70% della popolazione italiana), asintomatica per la maggior parte dei casi (al massimo si manifesta con spossatezza, qualche linea di febbre e l’ingrossamento dei linfonodi del collo) la toxoplasmosi è un’infezione causata nei mammiferi da un piccolo virus, il toxoplasma gondii. In gravidanza non è pericolosa in sé per la futura madre, mentre può esserlo per il feto con esiti diversi a seconda del periodo di gestazione, e molto. Ogni anno nascono in Italia circa 300-350 neonati che manifestano sintomi di infezione trasmessa durante la gravidanza da madri asintomatiche a cui non è stata diagnosticata. Per questo nelle madri che non sono già risultate immuni dalla toxoplasmosi all’inizio della gravidanza, occorre effettuare mensilmente il Toxo-test, un test di screening anticorpale con prelievo del sangue, che ne rileva prontamente la presenza in modo da procedere subito con una terapia antibiotica (diversa a seconda dell’età gestazionale) e scongiurare il contagio del feto. La diagnosi sul feto può essere effettuata mediante l’amniocentesi (15 -20 settimana di gravidanza) per rilevarne la presenza nel liquido amniotico, oppure tramite ecografia, che evidenzia alcune anomalie collegate all’infezione, come l’idrocefalo. In presenza di toxoplasmosi anche il neonato che non presenta sintomi dovrà essere monitorato durante tutto il suo primo anno di vita, periodo durante il quale si possono manifestare le complicanze a seguito del contagio.
Il protozoo intracellulare che provoca questa malattia, presente anche in molti animali mammiferi da compagnia, come il gatto, si trasmette per via orale e oro-fecale, ovvero per contatto con la terra infettata dagli escrementi animali oppure tramite l’ingestione di cibi contaminati, vegetali o di origine animale, consumati non lavati bene (verdure) crudi o poco cotti (carne). L’unica prevenzione dal punto di vista alimentare si può fare quindi evitando il consumo di verdure crude poco lavate, e di insaccati crudi, uova fresche non cotte, carne cruda o affumicata, mentre la convivenza con i nostri amatissimi gatti può proseguire, a patto di evitare con cura il contatto diretto con feci e lettiera.
Il protozoo responsabile dell’infezione vive infatti nell’intestino dell’animale e produce uova che poi attraverso le feci dell’ospite vengono rilasciate nel terreno, entrando in contatto ad esempio con gli ortaggi, verdure e frutta, che se consumati crudi o non lavati bene possono veicolarne gli oocisti e facilitare il contagio per ingestione. Con questi presupposti le regole igieniche profilattiche che devono seguire le gestanti non protette dalla toxoplasmosi sono sostanzialmente due:
- Lavarsi sempre le mani per evitare il contagio mani-bocca, in particolare dopo aver fatto giardinaggio o comunque maneggiato terriccio od ortaggi (ma anche la carne cruda ij cucina) tutti potenzialmente contaminati
- Consumare solo carni ben cotte per eliminare possibili cisti di latenza
Listeriosi
Se i neonati presentano gli effetti più gravi della listeriosi, si calcola che circa un caso ogni sei di malattia (17%) da listeria monocytogenes si verifica in donne in gravidanza, mentre una persona non particolarmente fragile nemmeno se ne accorge e normalmente è in grado di consumare alimenti contaminati senza ammalarsi. Il batterio, piuttosto raro come patogeno ma molto diffuso in natura, è presente nell’intestino di molti animali selvatici e domestici, compresi quelli destinati al consumo alimentare: il contagio nell’uomo avviene come anticipato più sopra ingerendo ortaggi contaminati dal letame e dalle feci di animali portatori asintomatici, oppure con il consumo diretto di carni contaminate, mentre sono rari i casi di trasmissione in ambiente ospedaliero. In pratica l’unico modo per essere sicuri di non venire in contatto con questo microrganismo è evitare alimenti crudi e cuocere tutto a determinate temperature, seguendo le normali norme igieniche di preparazione e conservazione degli alimenti in cucina.
La diagnosi nella donna in gravidanza si verifica individuando il batterio Listeria monocytogenes nel sangue, nella placenta o nel liquido amniotico. L’incubazione può durare da poche ore fino a diverse settimane (la media è 3 settimane) dal consumo dell’alimento contaminato: la terapia per la listeriosi è antibiotica e se fatta in maniera tempestiva può prevenire la trasmissione della malattia al feto, mentre per la prevenzione le linee guida raccomandano gli stessi accorgimenti adottati per evitare la contaminazione alimentare della salmonella e le altre tossinfezioni alimentari.
Dal punto di vista istituzionale, la listeriosi è tra le patologie con obbligo di denuncia sia negli USA che in Europa, per attività di sorveglianza sulla sicurezza alimentare che provvedono a indagare sulla causa del focolaio in corso e a prendere le necessarie misure sui prodotti contaminati che lo hanno provocato e le aziende produttrici.
È possibile individuare due forme d’infezione: la listeriosi non invasiva (gastroenterite febbrile listeriale) più lieve, che può presentare una sindrome simil-influenzale con febbre, spossatezza e dolori muscolari, che tende a risolversi spontaneamente. La listeriosi invasiva, più facilmente diagnosticata, è la forma più grave che può presentarsi in pazienti fragili, gestanti e neonati, con manifestazioni severe ed effetti gravi.
Nel primo trimestre di gravidanza la listeriosi può causare l’aborto spontaneo, nel terzo trimestre può comportare rischi severi per la madre, o un parto prematuro, mentre in alcuni casi nel feto può portare a complicanze come infezioni del sangue, listeriosi congenita, setticemia, cecità, paralisi, meningite e ritardo mentale, problemi renali o cardiaci.
Come per prevenire la salmonellosi (che dà sintomi prevalentemente gastro-intestinali) è prudente evitare il consumo di alimenti e preparazioni soprattutto di origine animale crudi o poco cotti, come uova, maionese, gelati, mousse, zabaione, e ovviamente carne, pesce crudo e affumicato, crostacei, frutti di mare, ma anche i succhi e il latte non pastorizzati o non UHT. Per essere sicure meglio abolire il consumo di burro e formaggi cremosi non pastorizzati, di capra e stagionati – come il Brie e il Camembert, la feta, il tomino – ma anche di piatti pronti e di gastronomia da asporto, di affettati, salsicce o salumi stagionati, hot dog, a meno che non siano stati tutti ben cotti e di provenienza certa. Questo perché sebbene la Listeria muoia con la pastorizzazione e la cottura, in alcune pietanze pronte nella catena della ristorazione la contaminazione si può verificare dopo la cottura, in fase di manipolazione trasformazione e confezionamento. Per lo stesso motivo via anche i germogli crudi, in particolare quelli di erba medica, e le insalate prelavate. Si raccomanda poi di strofinare e sciacquare con cura ortaggi e frutta con scorza dura, come angurie e meloni, prima di maneggiarli e di mangiarli.
Occorre fare bene attenzione poi in cucina a tutte le altre regole igieniche per la preparazione e la conservazione dei cibi: avere cura nel mantenere i cibi cotti separati da quelli crudi, conservare gli alimenti a temperatura inferiore ai 4 °C (la Listeria monocytogenes può replicarsi anche in frigorifero), proteggerli da insetti e altri animali, partendo sempre dal presupposto che la cottura delle pietanze deve superare i 70 °C anche nella parte interna dell’alimento, e che per questo motivo la cottura con il forno a microonde è sconsigliata. Altri accorgimenti di buon senso consistono nel non lasciare gli alimenti cotti a temperatura ambiente per più di due ore prima di riporli in frigo. Lavare sempre le mani, i coltelli, i taglieri e le superfici che hanno toccato carni crude e di pollo.
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