Tempo fa ho trattato su incarico di consulenza per una dottoressa, un caso interessante di ginecologia forense, in cui veniva contestata la mancata diagnosi di una particolare malformazione fetale denominata agenesia del corpo calloso, in relazione a un’ecografia morfologica eseguita in una struttura pubblica specialistica.
La contestata ecografia morfologica di screening di 1° livello, in protocollo nel 2° trimestre, era stata eseguita intorno alla 21ª settimana di gestazione, in assenza di segnalazioni relative a particolari fattori di rischio o anomalie nelle ecografie precedenti (eseguite come da protocollo dalla ginecologa privata della paziente), né nelle ecografie successive eseguite alla 25ª e 30ª settimana.
Solo la morfologica della 35ª settimana aveva indicato una sospetta ventricolomegalia cerebrale, con ulteriori reperti, e ad essa erano seguiti esami di approfondimento, ovvero lo studio del cariotipo fetale e una risonanza magnetica cerebrale fetale che avevano confermato la diagnosi.
Agenesia del corpo calloso: cos’è e come si diagnostica
L’agenesia del corpo calloso è una rara malformazione congenita, un’anomalia del cervello che comporta l’assenza parziale o totale di questa struttura nervosa che connette i due emisferi cerebrali, contribuendo alla comunicazione interemisferica.
Sebbene l’incidenza sia relativamente bassa (1 su 4000 nati vivi), le conseguenze per il neonato e per la sua famiglia possono essere severe, e comprendono deficit cognitivi, motori e comportamentali variabili.
La condizione è spesso associata ad altre anomalie cerebrali o di sviluppo neurologico, e il mancato riscontro prenatale priva i genitori della possibilità di una consulenza genetica e delle relative opzioni diagnostiche e terapeutiche.
Durante l’ecografia morfologica, questa malformazione può essere diagnosticabile grazie a specifici parametri ecografici, come l’assenza del cavum del setto pellucido o su segni indiretti come la ventricolomegalia. Tuttavia, la diagnosi non è sempre possibile, nonostante la perizia dell’operatore, l’utilizzo di dispositivi di ultima generazione e l’adeguatezza di strutture e protocolli utilizzati.
Come nel caso trattato, dove i suddetti segnali diagnostici si sono manifestati in epoca gestazionale posteriore a quella in cui è stata effettuato l’esame ecografico.
La ricerca del nesso di causa del danno medico da mancata diagnosi
La paziente che ha intentato il ricorso, sottoposta a ecografie di screening a 21, 25 e 30 settimane, non aveva mostrato anomalie fino alla trentacinquesima settimana, quando un’ulteriore ecografia aveva evidenziato segni di ventricolomegalia. Solo in seguito a questo rilievo erano stati eseguiti gli approfondimenti di secondo livello che avevano portato alla diagnosi di agenesia completa del corpo calloso.
Da parte della signora che aveva intentato la causa, era stato sollevato il dubbio sulla corretta esecuzione e refertazione dell’ecografia morfologica in conformità alle linee guida SIEOG, dubbio rivelatosi poi infondato all’esame del referto, senza tenere conto poi che si era trattato di un esame di primo livello su una paziente a basso rischio. I medici infatti sono tenuti a seguire precisi protocolli condivisi dalla comunità scientifica per minimizzare il rischio di diagnosi incomplete, pur consapevoli dei limiti intrinseci delle tecniche diagnostiche ecografiche.
In caso di contenzioso legato alla mancata diagnosi di agenesia del corpo calloso, il medico legale valuta sia la corretta esecuzione dell’ecografia morfologica che la presenza di errori evitabili. Gli standard medici richiedono che l’ecografista segua le linee guida suddette e, in presenza di segnali sospetti, sia in grado di riconoscerli e di indirizzare la paziente verso ulteriori indagini.
Considerazioni medico legali
Nell’ambito della responsabilità medica in diagnostica ecografica si deve ricordare la necessaria presenza dell’incongruità comportamentale, del nesso di causa con il danno che spesso consiste nella nascita indesiderata e quindi nella impossibilità di ricorrere alla legge 194/78, che permette l’interruzione di gravidanza oltre i primi 90 giorni solo in presenza di gravi rischi per la salute fisica o psichica della madre.
In questo caso innanzitutto è stato valutato l’intero percorso diagnostico eseguito dai sanitari che hanno avuto in cura la paziente nel tempo.
Una delle principali difficoltà emerse inizialmente nella mia perizia ha riguardato infatti la mancanza di documentazione chiara sull’iter nei diversi referti, specialmente quella sulla risonanza magnetica prescritta, premesse fondamentali per una corretta valutazione medico-legale.
Il mio compito partiva dall’acquisire elementi atti a stabilire se l’ecografia morfologica rispettasse gli standard professionali e se la malformazione potesse essere diagnosticata nelle condizioni presenti al momento dell’esame.
La verifica della responsabilità del medico è relativa al metodo, non al risultato
In ambito ecografico prenatale, la responsabilità del medico si basa sull’obbligo di metodo piuttosto che di risultato, il che significa che l’operatore deve seguire le linee guida standard senza necessariamente poter garantire il rilevamento di tutte le eventuali anomalie, specialmente quelle difficilmente diagnosticabili prima del terzo trimestre. Le linee guida stabiliscono la modalità di esecuzione dell’esame ecografico, i parametri da misurare e la modalità di compilazione del referto. Le linee guida identificano anche alcune delle patologie rilevabili a partire dal III trimestre, o più probabilmente nel terzo trimestre: tra queste ci sono le anomalie a carico dei ventricoli cerebrali e l’ipoplasia del corpo calloso.
Nel caso dell’agenesia del corpo calloso, la diagnosi per l’appunto è particolarmente complessa e spesso non viene individuata fino alla fase avanzata della gravidanza, poiché non sempre si manifestano segni indiretti come la ventricolomegalia.
Con la mia perizia in qualità di medico forense ho quindi verificato la correttezza dell’esame ecografico sia ostetrico che ginecologico, che ricordiamo essere un esame a basso rischio di screening di 1° livello, con una valutazione che più che essere fatta sulla visualizzazione delle immagini ecografiche stesse, deve esclusivamente concentrarsi sulla correttezza del referto.
Bibliografia:
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